Storie vere da non raccontare alla mamma
A cura di Emanuele Vicentini e Silvia Santachiaral.
Da ormai cinque anni, un evento unico nel suo genere, anima le serate milanesi – Don’t Tell my Mom – Story Show – ideato da Matteo Caccia, voce e autore radiofonico di Amnèsia Radio 2, Voi Siete Qui Radio 24, Pascal Radio 2 tra gli altri.
Come funziona?
Si prende coraggio, si sale sul palco e si racconta una storia che non si racconterebbe mai alla propria mamma: un vero e proprio storyshow alla portata di tutti!
A Milano si sono cimentati comici, manager, presentatori tv, medici, professori, grafici… A noi è piaciuto e lo abbiamo portato a Bologna, dove funziona allo stesso modo, con due sole regole: – bisogna raccontare, non leggere - deve durare 10 minuti al massimo
Per raccontare una storia e provare l’ebrezza del palco scrivete a: nonditeamiamammaBO@gmail.com
Ingresso libero
Immaginarti: Visioni Meticce è la rassegna a cura di Kilowatt, in collaborazione con Arca di Noè Coop. Soc., Baumhaus, Cantieri Meticci, Snark – space making e con il sostegno della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.
Immaginarti propone una selezione di film che fanno riferimento ai generi classici del cinema (fantascienza, horror, commedia ecc.) per raccontare l’immaginario delle comunità migranti.
A girl walks home alone at night (USA,2013, 97′), è il primo lungometraggio della regista di origine persiana Ana Lily Amirpour, ambientato nell’iraniana città fantasma Bad City, una città surreale, maledetta, notturna popolata di drogati, puttane, debosciati – dove si aggira con una maglietta a righe e un nero mantello una adolescente dagli occhioni sgranati e dall’aria fragile, che al momento opportuno tira fuori i canini e compie una strage, ma non di innocenti.
Un film che affascina per la bellezza del suo bianco e nero e per la geometria leggera e perfetta del suo racconto, ma conquista per la qualità della sua ironia.
Amirpour ha voluto definire il film “the first iranian vampire spaghetti western”.
A precedere il film verrà proiettato un’altra faccia di un progetto di video partecipativo promosso da Arcà di Noè, che dà la possibilità a chi viene solamente raccontato di raccontarsi.
Ingresso libero
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Immaginarti propone una selezione di film provenienti dai paesi d’origine delle comunità di migranti o realizzati dai migranti stessi, portando una narrazione alternativa a quella dominante, che alterna emergenza e vittimismo, rischiando con i suoi stereotipi di esasperare l’emarginazione e di ostacolare i processi di inclusione.
I film proposti fanno riferimento ai generi classici del cinema (horror, fantascienza, commedia ecc.) e sono capaci di raccontare in modo inedito l’immaginario culturale di un paese. L’obiettivo è disegnare uno scenario di apertura e contaminazione culturale, attraverso pellicole che non hanno avuto una distribuzione commerciale mainstream in Occidente, ma che mostrano la vivacità artistica di quei paesi e quelle comunità che siamo abituati a considerare come esportatori di disperazione.
Oltre alle proiezioni, il progetto prevede attività laboratoriali, rappresentazioni teatrali, audio-documentari ed eventi, dove a emergere sono gli immaginari di riferimento delle persone che migrano, portando con sé culture, prospettive e sogni: immaginari che da tempo hanno iniziato a contaminarsi con le narrazioni occidentali.
funday family lab
Nuovo appuntamento con Funday Family Lab, la domenica pomeriggio dedicata alle famiglie con laboratori e spettacoli tra musica e arte di strada.
Questa domenica Hoopnosis con Linda Vellar Circus.
Programma
Ore 18,00 : Laboratorio di circo per bambini.
Riscaldamento con l’uso di giochi di gruppo che favoriscono la collaborazione, l’attenzione, i riflessi e l’equilibrio. Muovere il corpo per attivare la mente. Utilizzo delle palline e degli hula hoop per impostare le basi della giocoleria e sviluppare la coordinazione tra i diversi arti e tra il proprio corpo e l’immaginazione.(Durata 50min)
Ore 19,30: Hoopnosis Show
Hoopnosis non è uno spettacolodi strada. Non è circo, non è giocoleria. É un rituale di reminiscenza acrobatica dove il più fortunato del pubblico avrà il privilegio di sperimentare un ipnosi che lo renderà in grado di praticare posizioni e prese acrobatiche che non avrebbe mai immaginato di poter fare prima.Ally Wolly guiderà la trance che avverrà grazie al supporto di atmosfere incantate, cerchi magici e corpi rotanti e renderà evidente agli occhi dei suoi spettatori come l’impossibile può diventare possibile solo grazie ad una leggera suggestione sensoriale
Ingresso libero
live in Serre
Tre nazioni fuse in una sola band, un chitarrista americano, una contrabbassista polacca ed un mandolinista francese per un incredibile mix di bluegrass e appalachi music.
Ingresso libero
Ogni due mesi, una nottata di ascolti, guidata da Gaspare Caliri e Gianluca Ridolfi, ispirata ai leggendari Tabiji dello Shelter Club di Tokyo.
In conclusione, live acustico all’alba di Enrico Malatesta.
La Serra Sonora è l’ultimo intervento di rigenerazione che abbiamo realizzato negli spazi esterni de Le Serre Dei Giardini Margherita. La qualità dell’audio è una delle priorità su cui abbiamo impostato la progettazione del nuovo spazio: una serra per lo più composta da vetro, con tutte le insidie che la teoria del suono insegna. Per vincere questa sfida ci siamo rivolti all’esperienza e alla tecnologia d&b audiotechnik, studiando un impianto site-specific capace di garantire esperienze uniche di immersione sonora.
Un tempio per audiofili, punto di riferimento in città per esperienze acustiche di qualità.
Programma
h. 21,00 – 24,00 | Dj set a cura di Gaspare Caliri e Giallu Ridolfi
h. 24,00 – 07,00 | Sleeping Listening: ascolti ambientali notturni [Prenotazione obbligatoria]
h. 07,00 | Concerto all’alba: Enrico Malatesta
I posti per lo sleeping listening sono limitati.
Per partecipare all’evento, è NECESSARIO PRENOTARSI (mandando un’e-mail a gaspare@kilowatt.bo.it).
Ingresso entro le 24,00 (oppure alle 7,00, per il live all’alba).
Portare un sacco a pelo.
Serra Elettrica
Serra Elettrica è l’appuntamento del venerdì di Kilowatt Summer dedicato alle sonorità elettroniche.
Live set audiovideo e sperimentazioni sonore, dj set.
Un progetto ideato e curato da Marco Ligurgo dj, produttore, curatore musicale tra gli altri del roBOt Festival.
Apre la serata alle 19,30 il djset a cura di Marco Unzip.
Il live è previsto a partire dalle 21,30. Al termine, continua il djset di Marco Unzip fino alle 23,30.
Opera Riparata è un omaggio a Bruno Munari e alla sua Opera rotta (ideata insieme a Davide Mosconi). Partendo dal testo scritto nel 1989 da Munari e Mosconi, il musicista Økapi (Filippo E. Paolini) e il videoartista Simone Memè destrutturano e ricompongono 40 opere celebri della musica lirica secondo la contemporanea logica del remix digitale (ritaglio, scomposizione, giustapposizione e sovrapposizione).
Se il monumentale gioco/meccanismo di Munari e Mosconi prevedeva l’impiego di diversi esecutori e della totalità dell’impianto scenico dell’opera, Opera Riparata rimanipola gli stessi elementi del linguaggio operistico col solo utilizzo di strumenti digitali audiovisivi. La possibilità di digitalizzare la totalità dei prodotti culturali e la facilità nel loro reperimento rende quella “disponibilità del corpo intero della storia della musica” descritta nel progetto originario oggi più che mai reale, e le parole di Munari più profetiche che visionarie.
Opera Riparata nasce con due fasi distinte: la lavorazione in studio e l’esecuzione dal vivo. Nella prima, Økapi e Simone Memè procedono in maniera distinta e parallela rimontando le 40 opere in brevi composizioni audio e video della durata di un minuto e undici secondi ciascuna. Il rigore della scrittura viene smentito nella seconda fase quando questi costrutti ragionati e personali si incontrano, si scontrano e si fondono secondo la logica e la spontaneità propria delle pratiche contemporanee di improvvisazione.
Esattamente come nel gioco infantile, Opera Riparata, pur seguendo principi e metodi di composizione rigorosi, vuole rimanere fedele al desiderio di liberazione da vincoli e regole. Essa perciò suggerisce la curiosità come modalità di conoscenza e di creazione ma anche la trasgressione dalla forma originaria per arrivare ad un esito imprevisto.
Ingresso libero
Kurutta ippeji è un film muto giapponese datato 1926 diretto da Teinosuke Kinugasa.
Creduto perduto per 45 anni,fu ritrovato e diffuso dal regista stesso nel 1971. E’ un capolavoro del cinema avant-garde,nonostante sia stato girato in un arco temporale di un mese e con un budget ridottissimo: Kinugasa dipinse d’argento le pareti dello studio per compensare la mancanza di luci.
Il film è ambientato in un manicomio e il tema predominante è il dramma della follia.
Per l’occasione la sonorizzazione dal vivo vedrà alternarsi il duo ambient-noise composto da Bob Nowhere (Ich.Bin.Bob, Ourmoon, Nuova Babele) e Carlo Marrone (My own parasite, Carlo Margot, Murder) e l’elettroacustica di Laura Agnusdei (Julie’s Haircut).
Ingresso libero
Immaginarti: Visioni Meticce è la rassegna a cura di Kilowatt, in collaborazione con Arca di Noè Coop. Soc., Baumhaus, Cantieri Meticci, Snark – space making e con il sostegno della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.
Immaginarti propone una selezione di film che fanno riferimento ai generi classici del cinema (fantascienza, horror, commedia ecc.) per raccontare l’immaginario delle comunità migranti.
Per il primo appuntamento di Immaginarti proietteremo Crumbs di Miguel Llansó (Etiopia, Finlandia, Spagna, 2015, 68′), il primo film di fantascienza etiope.
**Sinossi**
Decenni dopo l’apocalisse e la scoperta della vita extraterrestre, i pochi sopravvissuti lottano tra le macerie per sopravvivere.
Gagano, eroe dall’aspetto singolare, sempre in preda a sogni ad occhi aperti e costanti paure, è stanco di raccogliere le briciole inestimabili della civiltà decaduta, come il merchandising di Michael Jackson e Michael Jordan.
Quando una nave spaziale rimasta sospesa ad arrugginire nel cielo inizia a mostrare dei segni di attività, Gagano intraprende un viaggio surreale nel postapocalittico paesaggio etiope per superare le sue paure – tra cui una strega, Babbo Natale e i nazisti di seconda generazione – e scoprire che i suoi ricordi non erano realmente quelli che aveva sempre pensato.
A precedere il film verrà proiettato un’altra faccia di un intreccio di cortometraggi realizzati da cinque giovani richiedenti asilo che vivono a Bologna.
Un progetto di video partecipativo promosso da Arca di Noè Coop. Soc., che da la possibilità a chi viene solamente raccontato di raccontarsi.
Ingresso libero
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Immaginarti propone una selezione di film provenienti dai paesi d’origine delle comunità di migranti o realizzati dai migranti stessi, portando una narrazione alternativa a quella dominante, che alterna emergenza e vittimismo, rischiando con i suoi stereotipi di esasperare l’emarginazione e di ostacolare i processi di inclusione.
I film proposti fanno riferimento ai generi classici del cinema (horror, fantascienza, commedia ecc.) e sono capaci di raccontare in modo inedito l’immaginario culturale di un paese. L’obiettivo è disegnare uno scenario di apertura e contaminazione culturale, attraverso pellicole che non hanno avuto una distribuzione commerciale mainstream in Occidente, ma che mostrano la vivacità artistica di quei paesi e quelle comunità che siamo abituati a considerare come esportatori di disperazione.
Oltre alle proiezioni, il progetto prevede attività laboratoriali, rappresentazioni teatrali, audio-documentari ed eventi, dove a emergere sono gli immaginari di riferimento delle persone che migrano, portando con sé culture, prospettive e sogni: immaginari che da tempo hanno iniziato a contaminarsi con le narrazioni occidentali.
concerto
Sally Ann McIntyre è una radio artista, curatrice e scrittrice di base a Dunedin, Nuova Zelanda.
La sua pratica include sound art, un uso creativo della radio e l’utilizzo di field recordings, sempre in relazione e in risposta al posto che la ospita, così come pratiche di scrittura.
Un’importante piattaforma per la sua produzione artistica dal 2006 è stata una stazione radiofonica autocostruita chiamata Radio Cegeste, un progetto di registrazione e performance nomade che trasmette in un piccolo raggio, in qualsiasi località si trovi, sulla frequenza 104.5FM.
Lo-fi, interventi tecnologici site-specific all’interno di vari soundscapes e ambienti sono spesso concepiti come collaborazioni esplorative inter-specie, per le quali opera come curatore e operatore, destabilizzando la nozione di trasmissione one-to-many e forme associate di controllo e paternità nel mezzo.
I paesaggi sonori registrati in loco sono riproposti all’interno dell’ambiente stratificandoli a registrazioni storiche su 78 giri e altri media, problematizzando l’immediatezza dell’ascolto e innescando domande sulla sua storicizzazione.
Ingresso libero
Quarto incontro | Zu.art giardino delle arti di Case Zucchelli
Quarta e ultima serata stagionale della rassegna durante la quale verranno eseguiti brani di Franz Joseph Haydn, Jean Françaix e Claude Bolling.
Gli incontri musicali della rassegna sono stati realizzati in collaborazione con il Conservatorio di Musica Giovan Battista Martini con il coordinamento del M° Guido Felizzi e con l'intento di promuovere i giovani talenti allievi di questa Istituzione che si esibiscono nel magnifico contesto del giardino delle arti di Case Zucchelli.
Le note degli strumenti creano un dialogo lirico con la mostra A che punto siamo?, allestita per l'occasione nelle sale interne, con opere di Vincitori di Concorsi Zucchelli allievi dell' Accademia di Belle Arti di Bologna.
Prima parte:
Anna Merlini, Laura Rotolo - violini
Ludovica Rotolo - viola
Sara Merlini - violoncello
J. Haydn, Quartetto op. 76 n.2 in re minore "le quinte"
Allegro, Andante o più tosto allegretto, Minuetto, Finale Vivace assai
Seconda parte:
Riccardo Scaioli - sassofono
Alessia Pavani - pianoforte
Jean Françaix
Cinq Danses Exotiques
Pambiche, Baiao, Mambo, Samba lenta, Merengue
Claude Bolling
Le Papillon
Il giardino e il punto ristoro, gestito da MisterLino OfficinaLanaCaffè, aprirà alle 18.00 e chiuderà alle 23.30.
Come i produttori hanno fatto grande il cinema italiano
Un viaggio nel cinema italiano che, attraverso l’esposizione di materiali d’archivio originali, racconta la lungimiranza, il talento e l'intraprendenza di una generazione di produttori, come Giorgio Agliani, Salvo D’Angelo (Universalia), Goffredo Lombardo (Titanus), Giuseppe Amato e Angelo Rizzoli (Cineriz, Riama), Dino De Laurentiis e Carlo Ponti (Lux, Ponti-De Laurentiis, poi come indipendenti), Franco Cristaldi (Vides e Cristaldifilm), Alfredo Bini (Arco Film), Alberto Grimaldi (PEA), Italo Zingarelli (West Film) e Fulvio Lucisano (Italian International Film), che tra il 1947 e il 1975 hanno reso la nostra industria cinematografica tra le prime del mondo.
L’esposizione è organizzata dalla Cineteca di Bologna, in collaborazione con Anica, University of Warwick e AHRC, in occasione del Festival “Il Cinema Ritrovato”.
Orari di apertura: lunedì ore 14.30-20.00; da martedì a venerdì ore 10.00-20.00; sabato ore 10.00-19.00
Chiuso dal 30 luglio al 15 agosto 2018 compresi
Il 16 agosto si riapre con orario regolare (lun 14.30-20, mar-ven 10-20, sab 10-19).
(Italia/2016) di Matteo Rovere (118') | Introduce Stefano Accorsi
(Italia/1995) di Mario Martone (104') | Introduce il regista Mario Martone
Introduce il regista Mario Martone
Soggetto: dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante. Sceneggiatura: Mario Martone. Fotografia: Luca Bigazzi. Montaggio: Jacopo Quadri. Scenografia: Giancarlo Muselli. Musica: Daghi Rondanini. Interpreti: Anna Bonaiuto (Delia), Angela Luce (Amalia), Gianni Cajafa (zio Filippo), Licia Maglietta (Amalia da giovane), Carmela Pecoraro (Delia bambina), Anna Calato (signora De Riso), Giovanni Viglietti (‘Caserta’), Beppe Lanzetta (suo figlio), Italo Celoro (padre di Delia). Produzione: Lucky Red, Teatri Uniti, Rai – Radiotelevisione Italiana (Rai 3).
Versione italiana con sottotitoli inglesi
Fossimo nel cinema americano degli anni Quaranta, L’amore molesto sarebbe un woman’s film quasi perfetto. È la storia di una donna; il punto di vista è sempre soggettivo; la posta in gioco è il vincolo materno, il rapporto di questa donna con la propria madre; il passato ritorna e agita il presente in forma di numerosi flash-back; c’è una morte, un mistero, una traccia noir; c’è una scena finale che somiglia a un ritorno del rimosso, dunque una traccia psicoanalitica (anche se, più realisticamente, niente è stato mai davvero rimosso, e si tratta solo di ammettere al dicibile un groviglio di ricordi sporco e penoso). Quel che manca, in fondo, è solo una voce off – strumento naturale, quando si parte da un romanzo narrato in prima persona. La voce off in realtà c’era, nelle prime tre versioni della sceneggiatura firmata da Martone. Poi il regista sottopone la terza versione a Elena Ferrante, che dal suo ben protetto anonimato risponde all’appello. […] Chiede a Martone di rinunciare alla voce narrante di Delia, e di farlo radicalmente: “La prima persona, una volta che c’è, non si rassegna a diventare terza”. […] Proponendogli di rinunciare alle sue stesse parole Ferrante avvicina il film al proprio romanzo nel momento stesso in cui pare allontanarlo: tagliando il cordone ombelicale della voce letteraria, depotenziando il mélo, L’amore molesto di Mario Martone carica i passi di Delia attraverso la città di un’energia silenziosa e gelata. […] La Napoli di Martone, assai più di quella di Ferrante, è davvero un’onda che rischia di risucchiare e annegare la protagonista. Martone recupera la sonorità d’un dialetto fitto e chiuso, cui il romanzo aveva rinunciato, e lascia che la città del 1993 saturi l’immagine.
(Paola Cristalli)
Per fare un film da quel libro bisognava ancorarsi molto concretamente alla realtà dei luoghi, delle persone, delle storie, delle vicende familiari e qualunque tentazione metafisica, psicoanalitica, allegorica, simbolica, qualunque poeticismo diciamo così, secondo me avrebbe distrutto, avrebbe reso immediatamente non credibile la sostanza del racconto che è una sostanza molto difficile da trattare, molto misteriosa, ambigua, ma anche reale, concreta.
(Mario Martone)
Ho visto per la prima volta con chiarezza quale storia inquieta avevo raccontato. E mi sono molto turbata, ho faticato a non ritrarmi. Lì per lì non sono riuscita a capire cosa era veramente accaduto al mio libro, come era potuto succedere che io che avevo scritto la storia riuscissi a vederla solo adesso, esposta fino alle sue estreme conseguenze. Evidentemente, pur dicendomelo spesso, non avevo messo in conto che se il regista è molto bravo […], tutto ciò che sulla pagina è travestito o inventato per far funzionare il racconto, sullo schermo diventa emotivamente irrilevante, quasi non si vede; mentre il nucleo vivo che anima ogni cosa si svela con una dirompenza insostenibile.
(Elena Ferrante)
(Double Indemnity, USA/1944) di Billy Wilder (107')
Charles Brackett, sceneggiatore complice di Wilder, aveva rifiutato di scrivere Double Indemnity: definiva la storia di James M. Cain “puro trash”. Lo scandalo del film è infatti quello di trattare vite degradate di gente comune, dietro le facciate piccolo borghesi delle colline di Los Angeles. Non c’erano nemici pubblici e donne di dichiarato malaffare, ma una storia ispirata a un fatto di cronaca realmente accaduto. I dialoghi furono adattati da un Raymond Chandler insoddisfatto e acido, al tramonto di se stesso e incapace di intendersi con il regista. Riascoltati oggi, nell’originale come nel doppiaggio d’epoca, sembrano scolpiti nella pietra delle convenzioni, senza un errore o un cedimento, intenti a restituire, con poche parole, il male e la disillusione, il cinismo come unico compagno della lussuria. Non si può non rimanerne soggiogati.
Le ombre, il bene che smarrisce i suoi confini, la passione che diventa coazione al delitto. Ma soprattutto la donna che si disfa della famiglia puntando solo al denaro, all’indipendenza dai legami e dai doveri, costi quel che costi e cioè poco, l’uccisione del marito disamato e la dannazione dell’amante mai amato. Barbara Stanwyck è per tutte e per tutti “la” dark lady, la più glaciale. La parrucca che le fa indossare Wilder la imbruttisce e la involgarisce, ma sono quei pesanti e artefatti riccioli biondi a dettare, d’ora in poi, le regole estetiche della femme fatale. E, naturalmente, quel braccialetto alla caviglia che colpisce e stordisce Neff a prima vista, come un narcotico, un punto di non ritorno nella femminilità ricreata dal cinema. La Seconda guerra mondiale aveva strappato gli uomini all’America, le donne erano rimaste sole, costrette a lavorare e a mantenersi, l’immagine di bimba, fanciulla, moglie e madre protetta s’era definitivamente frantumata.
Piera Detassis
Barbara Stanwyck non si era mai trovata a interpretare una donna altrettanto fredda, egoista e calcolatrice. “In lei è subito scattato qualcosa” commentava Wilder all’epoca. Retrospettivamente, la versione riportata da Barbara Stanwyck è un po’ più complessa: dopo che Wilder le ebbe inviato la sceneggiatura e lei l’ebbe letta, in un primo momento ne fu spaventata. Di personaggi duri ne aveva interpretati, ma mai un out-and-out-killer. Per questo era un po’ spaventata; così, quando andò da Wilder, gli disse: “Il testo mi piace, e mi piace lei; ma dopo tanti ruoli eroici mi fa abbastanza paura dover tutt’a un tratto impersonare una cinica assassina”. Al che Billy Wilder, guardandola dritta in faccia, le chiese: “Ma lei è un topo o un’attrice?”. E Barbara Stanwyck rispose: “Un’attrice, spero!”. “E allora reciti quella parte!” “Recitai la parte, e gliene fui molto grata”.
Hellmuth Karasek
(The Apartment, USA/1960) di Billy Wilder (125')
Naturalmente, avere a disposizione Lemmon anziché un attore qualsiasi era un bell’aiuto. Gli attori come Lemmon sanno istintivamente quando fermarsi, quando scatterà la risata. Ho avuto la grande fortuna di lavorare con veri professionisti. Quando si scrittura un attore non si può andare contro la parte. Sapevo che Shirley MacLaine sarebbe stata perfetta: bastava lasciarla fare. E nell’Appartamento è stata superba.
Billy Wilder
Mescolare commedia e dramma è notoriamente difficile, ma L’appartamento lo fa sembrare facile. Come un Martini perfettamente dosato, il film ha quel tanto di emozione che basta a compensare il suo paralizzante caustico cinismo; come la migliore salsa agrodolce, non permette mai che il sentimento abbia la meglio sull’asprezza, o viceversa. Il risultato è uno dei film più amati e appaganti di Billy Wilder. Tra satira spietata e fascino esuberante, L’appartamento alterna momenti dolorosi come un pugno allo stomaco e scene esilaranti. Ispirandosi a un’idea scribacchiata dopo aver visto Breve incontro (1945), Wilder prende la storia pruriginosa di un impiegato che per far carriera presta il suo appartamento ai superiori in vena di scappatelle e la trasforma in una sorprendente e sentita difesa della dignità umana. Jack Lemmon, mai così divertente e così commovente, è un uomo che fa del suo meglio per conformarsi a una cultura volgare, superficiale e spudoratamente sessista. Shirley MacLaine infonde un brio corroborante in colei che è una vittima di tale cultura, una donna che sembra prendere le distanze da se stessa esprimendo commenti taglienti sul proprio pathos. Sono circondati da un cast di personaggi secondari disegnati con il tratto elastico ed esuberante delle caricature di Al Hirschfeld, cui Wilder e I.A.L. Diamond mettono in bocca battute gioiosamente chiassose e intelligenti. Le scenografie di Alexandre Trauner (sue quelle di Les Enfants du Paradis), valorizzate dall’incisiva fotografia in bianco e nero di Joseph LaShelle in formato widescreen, ricreano con ricchezza e verosimiglianza la New York degli anni Cinquanta, dall’enorme e alienante ufficio – citazione visiva di La folla (1928) di King Vidor – alla vissuta semplicità dell’appartamento. Wilder si portò a casa tre Oscar (sceneggiatura, regia e miglior film) e lasciò agli spettatori la vigilia di Natale più allegramente deprimente, la partita di carte più struggente e forse la più esilarante preparazione di un piatto di spaghetti.
Imogen Sara Smith
(USA/1954) di Billy Wilder (113')
Era una persona così ricca, così comunicativa. Ma era davvero “sexy”? Fuori dallo schermo era solo un’attrice. Molto magra, molto docile, a volte sul set spariva quasi. Ma era proprio carina, adorabile, direi. Ti potevi fidare ciecamente di quel passerotto. Poi, davanti alla cinepresa, si trasformava in Miss Audrey Hepburn. E con nulla diventava di un sexy da non credersi. Come in Sabrina, quando torna da Parigi con quell’abito mozzafiato. Dipende tutto da un elemento X, un quid particolare che qualcuno ha e qualcun altro no. Anche una persona di grande fascino può risultare del tutto insignificante sullo schermo. La Hepburn aveva quel qualcosa di speciale. Non ci sarà mai una seconda Audrey Hepburn. Lei resterà per sempre un’immagine del suo tempo. Non potrà mai essere duplicata né trasportata in un’altra epoca. Quel Givenchy è stato indossato una volta per sempre.
Billy Wilder
Wilder amava Sabrina, che sentiva essere tra i suoi film meno saldi nella storia del cinema, per via della sua “delicatezza” (e la presunta mancanza di spessore e veleno è quanto ancora delude certi critici). Parlandone con Cameron Crowe, molti anni dopo, ricordava soprattutto gli attori e gli abiti. Come Audrey Hepburn fosse responsabile del patto magico che il film stringe col pubblico dalla prima immagine, e che non si scioglie più; come William Holden offrisse una grande performance di virtuosismo comico e tono muscolare (era affascinato dalla naturalezza con cui Holden saltava le balaustre e le portiere delle automobili); come Bogart, seconda scelta per la consueta indisponibilità di Cary Grant, proprio nel suo costante umor nero trovasse la nota perfetta per Linus Larrabee. Che Wilder accreditasse a Givenchy una partecipazione quasi autoriale al film è poi argomento illuminante. Strutturalmente Sabrina procede per epifanie, per tagli di montaggio, di luce e di stoffa che lasciano dietro di sé una lunga eco visiva, e demarcano i passaggi: la panoramica verticale che svela a David la ragazza in abito, cappello e valigie da parigina sofisticata (affermazione della nuova Sabrina), l’apparizione nel vestito da ballo, farfalla dalle ali appena spiegate (ingresso nel mondo di David), l’abito di raso nero che si gonfia intorno al corpo di lei dolcemente ubriaca e allungata sul tavolo delle riunioni “disegnando l’immagine di un cigno” (ingresso nel mondo di Linus), e infine quel sublime grado zero della couture e del travestimento, la calzamaglia nera da ballerina o da Musidora, che tra le ombre dell’ufficio di Linus (uno dei momenti più sofisticati dello straordinario lavoro di Charles Lang) la configura nella sua nudità sentimentale. Il canone d’eleganza che il film andava a fondare si sarebbe rivelato più longevo e cosmopolita di quanto chiunque, allora, avrebbe potuto immaginare; e Sabrina avrebbe trasformato una cristallina inattualità nella capacità autorigenerativa propria delle favole, capaci di resistere a mille ascolti, a mille visioni.
Paola Cristalli
(The Seven Year Itch, USA/1955) di Billy Wilder (105')
Devo dire che non era facile lavorarci insieme. Ma quello che, di riffa o di raffa, riuscivi a estorcerle poi, sullo schermo, risplendeva. Una vera meraviglia. Inoltre, lo si creda o no, era un’eccellente attrice comica. Sapeva esattamente a che punto sarebbe arrivata la risata. Però poteva anche succedere che trecento comparse stessero lì ad aspettare Miss Monroe dalle nove del mattino e che lei arrivasse sul set alle cinque del pomeriggio... dicendo: “Mi spiace, non riuscivo a trovare la strada”. E lavorava in quello studio da sette anni! In un certo senso lei e la cinepresa erano fatte l’una per l’altra. Qualunque cosa le facessi fare, ovunque la mettessi, il risultato sullo schermo era meraviglioso. Lei non se ne rendeva neanche conto.
Billy Wilder
Una torrida notte dell’estate 1955, a New York. Mogli e frugoletti al mare. Mentre gli scapoli pro tempore di Manhattan si limitano a sciamare in gruppo cacciando donne vere, il piccolo editor di cattiva letteratura Tom Ewell (Wilder avrebbe voluto lo sconosciuto Walter Matthau, a cui aveva fatto un provino ‘folgorante’) inventa solo per sé Marilyn Monroe: ne disegna i contorni morbidi e auratici fin da prima che appaia, nel controluce oltre la porta, ne nutre con cura l’immagine sontuosa, carezzevole e aliena. Rinuncia solo a darle un nome, confermandola così creatura hollywoodiana (creatura come la creature from the black lagoon, con cui lei istintivamente fraternizza) assoluta, autoreferenziale, definibile solo per tautologia: “D’accordo, ho una bionda in casa. Ho Marilyn Monroe nella doccia!” è la battuta paradossale che segna il punto di crisi, e la decisione di uscire dalla fantasia voluttuosa. Tracce vistose di Quando la moglie è in vacanza sono rimaste nell’immaginario (para) cinematografico: trovo che l’immagine più memorabile sia Marilyn nella vasca, tra nuvole di schiuma e lampi di pelle nuda, l’alluce infilato nel rubinetto e l’idraulico a contemplare la scena, splendida per concretezza surreale; più celebre è certamente lo svolazzare della gonna bianca sollevata dal soffio della metropolitana, davvero però troppo usurata, e peraltro, nei due takes montati da Wilder, meno generosa e voyeuristica di quanto risulti dalle infinitamente replicate foto di scena. Quel plissé candido, vagamente anticipato nel Magnifico scherzo, resta comunque il capolavoro di Billy Travilla, capocostumista della Fox, l’uomo che veste Marilyn Monroe prima di A qualcuno piace caldo e del mago Orry-Kelly: a lui dobbiamo l’onirico raso rosa di Gli uomini preferiscono le bionde, il torrido bolerino tropicale di Follie dell’anno, gli occhiali di Come sposare un milionario e la triste sensualità delle calze smagliate di Fermata d’autobus.
(Italia/2014) di Ermanno Olmi (80') | Introducono Giorgio Diritti e Paolo Cottignola
La Cineteca di Bologna ricorda Ermanno Olmi a due mesi dalla scomparsa, con la proiezione in Piazza Maggiore del suo ultimo film Torneranno i prati, realizzato nel 2014, a un secolo dallo scoppio della Prima guerra mondiale, epoca nella quale il film è ambientato.
La serata sarà introdotta da Giorgio Diritti, regista formatosi alla “non-scuola” ipotesICinema di Ermanno Olmi, Paolo Cottignola, montatore di Torneranno i prati e molti altri film di Olmi, e da Betta Olmi, figlia del regista.
Così scriveva Ermanno Olmi ricordando la genesi di Torneranno i prati: “Mio padre aveva 19 anni quando venne chiamato alle armi. A quell’età, l’esaltazione dell’eroicità infiamma menti e cuori soprattutto dei più giovani. Scelse l’Arma dei bersaglieri, battaglioni d’assalto, e si trovò dentro la carneficina del Carso e del Piave, che segnò la sua giovinezza e il resto della sua vita. Ero bambino quando lui raccontava a me e a mio fratello più grande, del dolore della guerra, di quegli istanti terribili in attesa dell’ordine di andare all’assalto e sai che la morte è lì, che ti attende sul bordo della trincea. Ricordava i suoi compagni e più d’una volta l’ho visto piangere. Della Prima guerra mondiale non è rimasto più nessuno di coloro che l’hanno vissuta e nessun altro potrà testimoniare con la propria voce tutto il dolore di quella carneficina. Rimangono gli scritti: quelli dei letterati e quelli dei più umili dove la verità non ha contorni di retorica”.
(USA/2017) di Susan Kucera, raccontato da Jeff Bridges (83') | Introduce la regista Susan Kucera
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