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Concerti, spettacoli, cinema, mostre, teatro, laboratori per bambini, visite guidate: una panoramica completa degli eventi culturali organizzati a Bologna.
Aggiornato: 27 min 54 sec fa

Die Krupps (GER)

Mar, 08/04/2015 - 14:23

Unica data italiana

Live @ Freakout

The Pandoras (USA)

Mar, 08/04/2015 - 14:21

live

Live @ Freakout

Metz (CAN)

Mar, 08/04/2015 - 14:20

+ Theo Verney + His Electro Blue Voice live

Live @ Freakout

Gang Green (USA)

Mar, 08/04/2015 - 14:19

 + Onoda

Live @ Freakout

The Menzingers

Mar, 08/04/2015 - 14:18

 + Onoda

Live @ Freakout

I The Menzingers sono una band punk rock originaria di Scranton, Pennsylvania. I membri della band arrivano dalla scena ska-punk della loro città, dove militavano in band quali "Bob and the Sagets" e “Kos”.
La loro prima pubblicazione omonima risale al 2006, mentre il primo lp "A Lesson In The Abuse Of Information Technology" vede la luce l’anno seguente sotto l’attenta produzione di Jesse Cannon (Man Overboard). Nel 2009 la band registra un ep di 4 brani intitolato "Hold On Dodge" (Red Scare Industries), prima delle loro pubblicazioni su vinile. 
Il 13 aprile 2010 esce per Red Scare Records "Chamberlain Waits" secondo lp, seguito da un tour promozionale a supporto degli Against Me!. Il 17 maggio 2011 infine, arriva la firma con Epitaph Records, corredata di complimenti da parte del fondatore e chitarrista dei Bad Religion, Brett Gurewitz.
Da li in poi molte cose sono cambiate negli ultimi 4 anni,la band dopo tour in tutto il globo è riuscita ad accaparrarsi una schiera di fan sempre più fedeli riscuotendo un grande successo sopratutto con il loro ultimo e acclamatissimo album "Rented World".
La band sarà in Europa durante la prossima estate per far tappa nei maggiori festival del vecchio continente e di certo non poteva mancare un'appuntamento in Italia durante il quale la band saluterà tutti i fan!

Trial (US)

Mar, 08/04/2015 - 14:17

+ By The Grace Of God (US)

LIve @ Freakout

Ingresso riservato ai soci Aics
Tessera: 5 Euro
Ingresso: 10 Euro

The Imitation Game

Mar, 08/04/2015 - 13:07

(USA-GB/2014) di Morten Tyldum (114')

con Benedict Cumberbatch, Keira Knightley

Applaudito ai festival di Toronto e di Londra, The Imitation Game porta sul grande schermo una delle storie più avvincenti e incredibili del Novecento. Quella pubblica e privata di Alan Turing (interpretato dal camaleontico e talentuoso Benedict Cumberbatch già in odore di Oscar), brillante matematico di Cambridge arruolato durante la Seconda guerra mondiale dall'esercito britannico per decifrate il codice Enigma, ideato dai nazisti per secretare le proprie comunicazioni militari. La macchina elettromeccanica da lui inventa non solo contribuirà ad accorciare la durata della guerra salvando - secondo molti storici - milioni di vite umane, ma porrà le basi della moderna teoria informatica e della costruzione dei primi calcolatori. Un prodigioso talento per i numeri accompagnato, ça va sans dire, da una parallela inettitudine per la convivenza sociale: accusato di omosessualità e costretto alla castrazione chimica, Turing si suicidò del 1952.

Oscar per la miglior sceneggiatura non originale 

Precede Maestri dell'animazione: Omaggio a Bruno Buzzetto: IL SIGNOR ROSSI VA A SCIARE (1963)

Volcan

Mar, 08/04/2015 - 12:44

Bologna Jazz Festival

Gonzalo Rubalcaba, pianoforte e tastiere; Jose Armando Gola, basso elettrico e contrabbasso
Horacio “El Negro” Hernandez, batteria; Giovanni Hidalgo, percussioni

Magmatico e irruente, il quartetto Volcan nasce per opera di Gonzalo Rubalcaba, eccezionale pianista cubano che può vantare ben otto nomination al Grammy, a cui si affiancano per l’occasione altre tre stelle assolute del latin jazz. Terra, Aria, Vento e Fuoco sono gli elementi che interagiscono nel vulcano a cui Rubalcaba dedica il suo progetto: un cratere acceso e impetuoso, una bomba ad orologeria del ritmo dominata dalla personalità del leader e dei suoi compagni di viaggio.

Brad Mehldau Trio

Mar, 08/04/2015 - 12:41

Bologna Jazz Festival

Brad Mehldau, pianoforte; Larry Grenadier, contrabbasso; Jeff Ballard, batteria

Pochi pianisti, tra gli innumerevoli che si mettono sulle orme di Bill Evans, riescono poi a trovare una propria strada, del tutto personale e non meno entusiasmante di quella percorsa da questo intramontabile modello. Brad Mehldau ha saputo trapiantare l’eleganza armonica, lo scavo introspettivo e il tocco melodico evansiani in un contesto contemporaneo, anche nelle scelte di repertorio.
Nato a Jacksonville nel 1970, Mehldau si fa notare inizialmente con Jimmy Cobb e poi nel quartetto di Joshua Redman, nella prima metà degli anni Novanta. Nel 1995 esordisce come leader su disco e nel giro di pochi anni, assieme al suo trio, conquista le platee di tutto il mondo grazie alla sua sensibilità di interprete.
Il trio è la formazione che più ha caratterizzato l’attività di Mehldau. Sancita dai memorabili cinque album di The Art of the Trio (usciti su etichetta Warner tra il 1996 e il 2001, poi raccolti in cofanetto con l’aggiunta di un sesto volume), la predilezione per questo format si è mantenuta senza il minimo cedimento creativo sino ai giorni nostri. In questa lunga esplorazione delle inesauribili possibilità estetiche del trio, Mehldau si è avvalso di una formazione stabile, il cui unico mutamento di organico è avvenuto nel 2005, quando Jeff Ballard ha preso il posto alla batteria che nei dieci anni precedenti era stato di Jorge Rossy. Da allora il gruppo ha continuato a sfornare dischi (su etichetta Nonesuch), anche coinvolgendo altri ospiti. Le prove più recenti risalgono al 2012: Ode e Where Do You Start (un album tutto di inediti il primo, completamente di cover il secondo).
Il piano solo è l’altra dimensione in cui si è meglio fatta apprezzare l’incredibile armonia tra improvvisazione ed equilibrio formale che distingue le esecuzioni di Mehldau. Ma pur focalizzandosi sulle situazioni raccolte del trio e del solo, il pianista della Florida non si è certo sottratto alle collaborazioni con artisti del suo rango: da Pat Metheny a Charlie Haden, Lee Konitz, Michael Brecker, Wayne Shorter, John Scofield, Charles Lloyd, Joshua Redman, Peter Bernstein, Kurt Rosenwinkel, Mark Turner. Tra i compagni di musica di Mehldau figurano anche stelle della lirica come Renée Fleming e Anne Sofie von Otter.

Terence Blanchard & The E-Collective

Mar, 08/04/2015 - 12:35

Bologna Jazz Festival

Terence Blanchard, tromba; Charles Altura, chitarra; Fabian Almazan, pianoforte e tastiere;
Donald Ramsey, basso elettrico e contrabbasso; Oscar Seaton, batteria

Terence Blanchard (New Orleans, 1962) durante gli anni Ottanta è stato uno dei principali protagonisti dell’aurea stagione dei Young Lions. Fu un decennio che vide un incredibile fiorire di nuovi astri della tromba: Blanchard, appunto, e poi Wynton Marsalis e Roy Hargrove. Blanchard fu sin da subito identificato come uno dei musicisti più rappresentativi di quel decennio, simbolo del rifiorire del jazzmainstream dopo la grande ondata del jazz-rock: i suoi modelli di riferimento sono infatti quelli dell’hard bop, soprattutto Freddie Hubbard.
Le prime, non trascurabili, esperienze musicali di Blanchard furono con Lionel Hampton e i Jazz Messengers di Art Blakey (nei quali sostituì proprio Marsalis, assumendo il ruolo di direttore musicale della band). La notorietà, in un simile contesto e con le sue evidenti virtù solistiche, giunse comprensibilmente presto.
Nei primi anni Novanta Blanchard inizia a cimentarsi anche con le colonne sonore per il cinema, attività che prosegue a tutt’oggi parallelamente a quella di jazzista. Nella sua fitta serie di realizzazioni musicali per il cinema, spiccano le soundtracks per i film del regista Spike Lee, al quale Blanchard è legato indissolubilmente dal 1991, anno di Jungle Fever. Da allora il trombettista ha firmato la colonna sonora di numerose altre celebri pellicole del regista afro-americano: Do the Right Thing, Mo’ Better Blues, Malcolm X, Summer of Sam, La 25° ora, Miracolo a Sant’Anna.
Vincitore di svariati referendum della rivista DownBeat e ripetutamente nominato per i Grammy Awards, Blanchard è inoltre uno dei più apprezzati insegnanti di jazz in attività. Come leader Blanchard ha inizialmente inciso numerosi dischi per la Columbia, prima di passare alla Blue Note. E proprio con questa etichetta nel maggio di quest’anno ha pubblicato l’album Breathless (2015), sul quale figura l’E-Collective: una band elettrica che si pone al crocevia tra jazz, funk, R&B, fusion. Ci troviamo ora di fronte a un solista di grande maturità, capace di muoversi con disinvoltura tra linguaggi anche distanti dall’hard-bop, e che continua a scoprire e coltivare nuovi talenti musicali.

Enrico Rava New Quartet

Mar, 08/04/2015 - 12:26

Bologna Jazz Festival

Enrico Rava, tromba; Francesco Diodati, chitarra;
Gabriele Evangelista, contrabbasso; Enrico Morello, batteria

Enrico Rava (nato nel 1939 a Trieste) si ispira agli esordi a figure carismatiche come Chet Baker e Miles Davis. Si avvicina però ben presto all’avanguardia, suonando con Gato Barbieri, Don Cherry, Mal Waldron e Steve Lacy. In seguito, trasferitosi a New York per una decina d’anni, collabora con altri musicisti d’avanguardia, tra cui Roswell Rudd, Marion Brown, Cecil Taylor, Carla Bley. Poi progressivamente ha trovato un personalissimo approccio al mainstream.
La personalità di Rava è a suo modo unica per il modo in cui ha saputo dare frutti eccellenti sia nel campo del jazz di ricerca (specie nella prima parte della sua carriera) che nel solco della tradizione. Negli ultimi anni Rava ha spinto l’acceleratore su alcune situazioni particolarmente raccolte e intimiste (come i duetti con Stefano Bollani, Danilo Rea, Julian Oliver Mazzariello, Giovanni Guidi) come pure su una formazione magniloquente come il Parco della Musica Jazz Lab. In tutto questo elaborare nuove combinazioni musicali, il quintetto rimane l’organico fondamentale dell’attività del trombettista triestino, tanto da assumere innumerevoli varianti per dare sempre nuova linfa alla strumentazione: al Quintet ufficiale nel corso del tempo si sono affiancati l’Under 21, il New Generation, il Rava Tribe, l’US Quintet.
Dopo innumerevoli ‘colpi’ musicali andati a segno, Enrico Rava ancora una volta ha messo la palla al centro, pronto per un nuovo calcio d’inizio: quello del Rava New Quartet. Questo gruppo, che ha esordito nel 2014, è forte dell’esuberanza e la freschezza della gioventù: anagrafica per i tre partner del grande trombettista, di spirito per Rava, che all’età di settantasei anni è ancora un leader indomito e non pare certo intenzionato ad adagiarsi su cliché né sulla ripetizione di repertori e formazioni di routine. Atteggiamento quanto mai apprezzabile da parte di un musicista che nella sua carriera ha accumulato collaborazioni, riconoscimenti ed esperienze tra le più gratificanti che un artista possa desiderare.
Nuove idee musicali, nuove leve per eseguirle. Così Rava chiama alla sua corte il chitarrista Francesco Diodati (classe 1983), dal suono pittorico, carico di effetti elettronici eppure ben radicato nel linguaggio della tradizione afro-americana; il contrabbassista Gabriele Evangelista (1988), che, ancora fresco dell’esperienza formativa di Siena Jazz, sta avanzando sulla scena nazionale con la velocità d’un centometrista; Enrico Morello (1988), che già spazia sulla scena internazionale e nel cui drumming si rispecchia la sua curiosità capace d’abbracciare stili musicali, nonché epoche jazzistiche, diversi.

Sylvie Courvoisier – Mark Feldman Duo

Mar, 08/04/2015 - 12:22

Bologna Jazz Festival

Sylvie Courvoisier, pianoforte; Mark Feldman, violino

Oggi ci sono pochissimi altri duo pianoforte-violino che abbiano l’incredibile intensità, la vibrante energia, l’immaginazione e il toccante lirismo di quello formato da Sylvie Courvoisier e Mark Feldman. Ogni loro concerto si sviluppa attraverso un indescrivibile movimento elastico in grado di creare architetture e prospettive partendo dai più disparati materiali musicali. Un collaudato universo creativo capace di gettare un ponte fra la cultura della musica classica e il jazz.

James Farm

Mar, 08/04/2015 - 12:17

Bologna Jazz Festival

Joshua Redman, sax tenore e soprano; Aaron Parks, pianoforte;
Matt Penman, contrabbasso; Eric Harland, batteria

James Farm è una sorta di collettivo musicale che raccoglie alcuni dei nomi più significativi del mainstream contemporaneo: il sassofonista Joshua Redman, il pianista Aaron Parks, il bassista Matt Penman e il batterista Eric Harland. Una band che si è costituita intorno a una comune sensibilità per il jazz ma anche per la forma-canzone, il groove e l’attenzione al suono contemporaneo.
Quando nel 2009 il gruppo cominciò a esibirsi nei festival (la prima testimonianza su CD del loro lavoro,James Farm, arrivò solo nel 2011) Redman, Harland e Penman avevano già suonato insieme nel San Francisco Jazz Collective, mentre Aaron Parks si era avvalso della stessa ritmica per il suo CD Invisible Cinema (Blue Note 2008). Il nuovo disco del gruppo, City Folks (2014), è una vera prova di maturità: l’incisiva coesione dell’insieme, la fibrillazione ritmica, gli interventi solistici incastonati in un superbo interplay, la raffinatezza urbana del contemporary jazz della east coast trasportata in una dimensione di sublime accessibilità per l’ascoltatore.
Joshua Redman (nato nel 1969 a Berkeley, California) iniziò a farsi notare nel mondo del jazz nei primi anni Novanta. All’epoca lo aiutò l’essere il figlio del celeberrimo sassofonista Dewey Redman. Ma prima che questo vantaggio si trasformasse in un’ombra onnipresente, Joshua sviluppò uno stile tutto suo, fortemente legato alla tradizione, con un senso infallibile per la costruzione melodica, iniziando un’inarrestabile ascesa artistica.
Il suo trampolino di lancio fu la Thelonious Monk Competition, vinta nel 1991. Da quel momento la gavetta fu breve, e presto Redman poté mostrarsi a capo di propri gruppi (tanto per farsi un’idea, la sua prima band stabile annoverava Brad Mehldau, Christian McBride e Brian Blade, tutti destinati al successo che ora sappiamo).
Dopo numerosi dischi pubblicati per le etichette del gruppo Warner e collaborazioni con Ray Brown, Dave Brubeck, Chick Corea, Jack DeJohnette, Bill Frisell, Charlie Haden, Herbie Hancock, Milt Jackson, Elvin Jones, Quincy Jones, Pat Metheny e innumerevoli altri artisti (anche classici e rock: su tutti i Rolling Stones), oggi Redman è tra i tenorsassofonisti più ammirati del panorama internazionale. Assieme a Brad Mehldau (col quale tra l’altro collabora anche in duo), lo si può anzi considerare uno dei musicisti più rilevanti tra quelli emersi nel corso degli anni Novanta.
Nato nel 1983 a Seattle, Aaron Parks ha frequentato la Manhattan School of Music e già durante gli studi iniziò a suonare nella band di Terence Blanchard, con cui ha registrato diversi album. Fu durante un tour con Kurt Rosenwinkel che entrò per la prima volta in contatto con Harland e Penman.
Matt Penman è originario di Auckland (Nuova Zelanda). Una borsa di studio lo portò alla Berklee nel 1994. Qui si fece notare, iniziando la carriera da professionista: ha suonato con Kurt Rosenwinkel, Kenny Werner, Brad Mehldau, Chris Cheek, Brian Blade, Seamus Blake, Mark Turner…
Eric Harland è nato nel 1978 a Houston (Texas). Dopo aver frequentato la Manhattan School of Music ha cominciato una carriera che con fulminea rapidità lo ha portato a registrare decine di dischi con nomi del calibro di Terence Blanchard, McCoy Tyner, Charles Lloyd, Dave Holland, Ravi Coltrane, Greg Osby. Ma la sua attività di sideman non si ferma qui: ha suonato tra gli altri con Betty Carter, Joe Henderson, Wynton Marsalis, Michael Brecker, John Patitucci…

Mark Turner Quartet

Mar, 08/04/2015 - 12:12

Bologna Jazz Festival

Mark Turner, sax tenore; Avishai Cohen, tromba;
Joe Martin, contrabbasso; Obed Calvaire, batteria

Originario dell’Ohio, dove è nato nel 1965, Mark Turner è però cresciuto in California. Non stupisce quindi il fatto che tra i suoi modelli sassofonistici, oltre all’immancabile Coltrane, emerga la figura di Warne Marsh, con quel senso altamente esplorativo dell’improvvisazione sulle armonie. Ma per completare la sua formazione musicale Turner si trasferì al Berklee di Boston. Da lì a New York la distanza è breve: e infatti Turner la percorse, trovando appoggio e ingaggi da parte di musicisti come James Moody, Jimmy Smith e Joshua Redman.
Inizia così il suo progresso nel mainstream di matrice post-boppistica, che presto sfocia anche in un’attività da leader segnata dall’esordio discografico su Criss Cross (1995) e, soprattutto, dal passaggio alla Warner Bros, a partire dal disco Mark Turner del 1998. Nel 2004 debutta il trio Fly, una all starparitetica con il contrabbassista Larry Grenadier e il batterista Jeff Ballard. È con questa formazione, ancora oggi in attività, che Turner raggiunge la maggiore visibilità internazionale.
Momento saliente della più recente attività di Turner è l’approdo, nel 2012, alla casa discografica ECM, il cui ultimo frutto è Lathe of Heaven. Con un quartetto pressoché identico a quello dell’incisione discografica (cambia solo il batterista nella band con la quale Turner si esibirà dal vivo a Bologna), sarà proprio questo album a fornire le basi per un concerto che si svilupperà su traiettorie capaci di portare a sintesi l’impostazione del jazz cameristico, il vigoroso sound ereditato dalla tradizione bop, l’improvvisazione più libera da schemi.

Children Of The Light

Mar, 08/04/2015 - 12:05

Bologna Jazz Festival

Danilo Pérez, pianoforte; John Patitucci, basso elettrico e contrabbasso;
Brian Blade, batteria

Danilo Pérez, John Patitucci, Brian Blade: un dizionario del jazz li definirebbe semplicemente come “la sezione ritmica di una delle band più straordinarie di questo primo scorcio del terzo millennio: il quartetto di Wayne Shorter”. Oltre a fare parte di questa straordinaria formazione che ha segnato e ampliato i confini percettivi del jazz contemporaneo, questi tre straordinari musicisti hanno continuato a coltivare le loro singole carriere come leader. E solo da poco tempo hanno iniziato a presentarsi come vero e proprio trio: Children of the Light, sul quale aleggia l’enorme eredità shorteriana. Da questo nuovo gruppo scaturisce una musica dall’enorme potere immaginifico, che ricombina e rinnova i ruoli e gli schemi del trio con pianoforte, spazzando via spavaldamente ogni elemento di routine e prevedibilità dal linguaggio jazzistico.
L’improvvisazione può spaziare su strutture armoniche e linee melodiche di grande spessore per poi planare sulla bellezza sempre insita nella semplicità di un tema ben tratteggiato. La struttura poco convenzionale della musica scombina la forma canzone, dandole un aspetto narrativo non lineare, come in un montaggio cinematografico a là Tarantino. L’acrobatico movimento delle linee sonore dà quasi l’impressione che i tre musicisti si stiano esibendo in assenza di gravità.
Pérez, Patitucci e Blade si trovarono assieme per la prima volta nel 2000 in occasione della registrazione del disco Motherland di Pérez. Poco dopo a saldare ulteriormente la loro storia arrivò la chiamata di Wayne Shorter. Tutti e tre sono star del jazz internazionale con importanti carriere solistiche.
Il pianista panamense Danilo Pérez, oltre che con Shorter ha lasciato importanti testimonianze al fianco di Roy Haynes. Il suo stile è una sorta di compendio delle sonorità e dei ritmi pan-americani.
John Patitucci è uno dei più influenti bassisti in attività, capace di traslocare il suo strumento, sia acustico che elettrico, dal jazz al soul, il rock, il blues, la musica classica: oltre che alla testa del suo quartetto ha dato sostegno ai gruppi di leader carismatici come Chick Corea, Herbie Hancock, Stan Getz, Wynton Marsalis, Joshua Redman, Michael Brecker, Freddie Hubbard, Tony Williams… Cambiando genere, lo si è ascoltato al fianco di Sting, Astrud e João Gilberto e altre star del pop e della musica brasiliana.
Anche il batterista Brian Blade, quando non è impegnato coi suoi progetti personali, frequenta l’olimpo del musica, non solo jazz: Herbie Hancock, Kenny Garrett, Joshua Redman, Joni Mitchell, Bob Dylan…

Kenny Garrett Quintet

Mar, 08/04/2015 - 12:01

Bologna Jazz Festival

Kenny Garrett, sax alto e sax soprano; Vernell Brown, pianoforte;
Corcoran Holt, contrabbasso; Marcus Baylor, batteria; Rudy Bird, percussioni

Nato a Detroit nel 1960, Kenny Garrett ha esordito nel 1978 con la Duke Ellington Orchestra, sotto la direzione di Mercer Ellington (figlio di Duke): oltre tre anni che hanno ampiamente contribuito alla formazione del sassofonista, come ben dimostrano le sue collaborazioni immediatamente successive. Prima di lanciarsi nella carriera da leader Garrett infatti viene chiamato da Mel Lewis, Art Blakey, Freddie Hubbard, Woody Shaw. Ma la fama del sassofonista è anche legata indissolubilmente alla sua quinquennale partecipazione alla band di Miles Davis: un periodo esaltante che ha consacrato Garrett come una star di prima grandezza nella scena jazzistica mondiale.
Ancora giovanissimo, Garrett sfonda anche come leader: il suo primo disco da solista è del 1984 (Introducing Kenny Garrett, per la Criss Cross), lavoro seguito da altre fortunate pubblicazioni per la Atlantic e la Warner. L’attività da solista non ha interrotto le sue collaborazioni d’alto profilo: McCoy Tyner, Pharoah Sanders, Brian Blade, Marcus Miller, Herbie Hancock, Ron Carter, Elvin Jones, Mulgrew Miller… Tra il 2008 e il 2009 Garrett è stato impegnato con la Five Peace Band, al fianco di Chick Corea, John McLaughlin, Christian McBride e Vinnie Colaiuta: il Cd dal vivo che documenta questa esperienza ha vinto un Grammy Award.
Negli ultimi anni le formazioni guidate da Garrett, pur nella varietà delle impostazioni (dal mainstream al R&B elettrico sino all’attuale quintetto decorato dal tocco latineggiante delle percussioni), sono state accomunate dalla vulcanica energia con la quale il sassofonista sa trascinare il pubblico verso finali dastanding ovation.

Storie di miniere e di emigranti

Mar, 08/04/2015 - 10:44

iniziative in memoria delle vittime di Marcinelle e della storia dell'emigrazione italiana

ore 11: 00 
commemorazione presso il cippo dedicato alle Vittime della miniera di Marcinelle (Giardino Vittime di Marcinelle), organizzata dal Quartiere San Donato.

ore 11: 45 
nello spazio GRAF di Piazza Spadolini n. 3 presentazione libro “Storia dell’immigrazione italiana in Belgio- il caso del Limburgo” di Sonia Salsi alla presenza dell’autrice, etno- antropologa nata e cresciuta in Belgio da emigranti italiani, con l’introduzione di Simone Borsari, Presidente del Quartiere San Donato.
Brevi letture dal testo, a cura di Associazione Youkali, ridaranno vita alle testimonianze raccolte dall’autrice delle condizioni di lavoro dei minatori italiani, delle modalità dell’accoglienza, delle difficoltà d’integrazione, del razzismo e delle problematiche legate al rispetto delle differenze tra uomini e donne che condividevano la speranza di costruire una vita migliore per sé e i loro figli.  

ore 21:00
Piazza Spadolini 
spettacolo dell’Associazione Culturale Youkali “Sogni e speranze dell’Italia che partiva” (in caso di pioggia si terrà nello spazio interno di GRAF- Piazza Spadolini n. 3).
Un viaggio attraverso documenti e canzoni che ritraggono l'Italia degli emigranti tra la fine dell’Ottocento e gli anni '70 del Novecento. Le canzoni e le testimonianze drammatizzate dalla voce di Simona Sagone saranno accompagnate dai musicisti Salvatore Panu alla fisarmonica e Mirco Mungari alla chitarra.
Introdurranno lo spettacolo Simone Borsari, Presidente del Quartiere San Donato e Leonardo Luis Barcelò Lizana, consigliere comunale.

Ingresso libero a tutti gli eventi.

Antiche pagine

Mar, 08/04/2015 - 09:23

XX mostra mercato del libro e della stampa antichi e del 900 da collezione

Il terzo fine settimana di settembre (18/19/20) si terrà nel chiostro della Basilica di San Francesco la ventesima edizione della mostra di Antiche Pagine. Mostra gestita e voluta dai librai antiquari bolognesi, che porta a Bologna questo primato: la più longeva mostra organizzata totalmente ed esclusivamente da professionisti del campo del libro d'antiquariato.

Orari

18/09 dalle 14 alle 19
19/09 dalle 9 alle 19
20/09 dalle 9 alle 14

Se Dio vuole

Lun, 08/03/2015 - 15:30

(Italia/2014) di Edoardo Falcone (87')

con Marco Giallini, Alessandro Gassman, Ilaria Spada, Edoardo Pesce, Laura Morante

Tommaso è un cardiochirurgo di fama e uomo dalle certezze assolute. È sposato con Carla, casalinga e madre dei due figli: Bianca, a sua volta sposata con Gianni, e Andrea. Proprio da Andrea parte la rivoluzione in famiglia, quando il ragazzo, promettente studente di medicina, annuncia di volersi fare prete. A ispirarlo sembra sia stato un certo Don Pietro, a metà fra il sacerdote e il santone: a Tommaso non resta che avvicinarlo sperando di scoprirne gli altarini per rivelarli ad Andrea e fargli cambiare idea sul sacerdozio.

Per una volta, l'erba più verde è la nostra; cosa più unica che rara, di questi tempi. 'Se Dio vuole' è il film che aspettavamo, che rilancia il nostro saper far commedia, ben presente nel DNA italiano, ma tenuto a freno dalla scorciatoia più facile dello scopiazzare (...) Non c'è niente che stoni in questa pellicola. Tutto fin troppo perfetto, quasi ci fosse stato quell'intervento divino che è poi al centro della trama. (...) La storia non cala mai di intensità, tenendo per novanta minuti un ritmo alto, grazie a battute strepitose e attori in stato di grazia. Domanda finale: ma quando, in Italia, i registi impegnati premieranno la bravura di Giallini?

Maurizio Acerbi, 'Il Giornale'

Per il suo esordio alla regia Edoardo Falcone sceglie una commedia che indaga i segreti del cuore e i misteri dell'invisibile attraverso la 'conversione' di chi crede di essere Dio e si scopre un uomo. Il film gioca con luoghi comuni e pregiudizi in fatto di religione e due protagonisti, Giallini e Gassmann, capaci di trasmettere il ruolo importante che la fede può avere ogni giorno nella vita delle persone.

Alessandra De Luca, 'Avvenire'

Nomination ai David Di Donatello 2015 per il migliore regista esordiente (Edoardo Falcone), e migliore attore protagonista (Marco Giallini)

La proiezione è parte di Accadde domani, rassegna promossa da Fice Emilia-Romagna

La famiglia Bélier

Lun, 08/03/2015 - 15:30

(Francia-Belgio/2014) di Eric Lartigau (105')

con Louane Emera, Karin Viard, Françoise Damiens

La commedia che ha incantato più di sette milioni di spettatori in Francia. Nella famiglia Bélier, sono tutti sordi tranne Paula, che ha 16 anni e nel quotidiano svolge per loro un ruolo indispensabile di inteprete, in particolare nella gestione della fattoria di famiglia. Quando scopre di avere una bellissima voce deve trovare il coraggio di dire ai genitori che vuole andare a Parigi per studiare canto. "Il tema della famiglia è ricco, tocca emozioni diverse e momenti di vita che sono fondamentali per un adolescente. In questo film mi interessava raccontare il punto di vista di questa ragazza nella singolarità di questa famiglia di sordi e come lei costituisca un ponte con quelli che ci sentono. Accompagnare questa ragazza nel superamento delle sue paure e nel trovare se stessa mi piace e credo abbia parlato agli spettatori" (Eric Lartigau).

Premio César per la miglior attrice esordiente

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